mercoledì 12 settembre 2012

"Di me cosa ne sai" : analisi di una crisi 2° Parte

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..Fino ad allora la televisione nazionale non aveva dato molto spazio alla trasmissione di pellicole cinematografiche, ma da un giorno all’altro gli schermi vengono letteralmente invasi da film anche piuttosto recenti. Sarebbe inutile ribadire quanto ciò abbia contribuito alla diserzione degli spettatori dai cinema. Nel frattempo, in un contesto da selvaggio west mediatico, il Cavaliere diventa proprietario di ben tre reti televisive (Canale 5, Italia Uno e Retequattro) imponendo il suo monopolio sulla TV commerciale edificando un impero dell’industria mediatica, dello spettacolo e dell’intrattenimento.
Nei rampanti anni Ottanta diviene socio dei Cecchi Gori, i maggiori produttori e distributori cinematografici italiani, nella Penta Cinematografica e con l’acquisto della storica Medusa ottiene il quasi monopolio dell’industria cinematografica condividendolo con la RAI.
Il duopolio televisivo ormai sancito dalla famigerata legge del ministro repubblicano Mammì ma concertata soprattutto da Craxi ed Andreotti, si riflette sul cinema con le prevedibili conseguenze. Alla costosa realizzazione di film per il grande schermo si preferiscono le fiction televisive. Nel frattempo i format e i palinsesti della RAI TV cominciano ad assomigliare sempre più a quelli Mediaset.
Nell’arco di pochi anni la legge Corona, le fughe americane dei De Laurentiis, dei Ponti, dei Grimaldi, la progressiva occupazione dell’etere di canali patrocinati da determinati settori economici e politici farebbero pensare ad un intervento di quelle lobbies che molto investono sulla macchina spettacolare hollywoodiana, probabilmente e prevalentemente italoamericane ed ebraiche.
L’immaginario si divide fra il cinema spettacolare americano e la televisione berlusconiana becera e provinciale, che ha invaso le case degli italiani. All’inesorabile calo di spettatori nei cinema si accompagna la progressiva affermazione delle pellicole statunitensi a scapito di quelle italiane.
Basterebbe dare una scorsa alle classifiche degli incassi delle stagioni cinematografiche di venti, trenta e quarant’anni fa per prendere atto di questa tendenza che pare inarrestabile.
In passato le preferenze del pubblico italiano si sono indirizzate sui prodotti della nostra cinematografia piuttosto che sulla concorrenza hollywoodiana ma oggi solo le pellicole dei vari De Sica e Boldi sono in grado di reggere all’ondata del cinema mainstream americano. Intanto chiudono le piccole case cinematografiche del nostro paese e si moltiplicano gli studi televisivi.
La suddetta operazione de-culturale ha una portata globale nel suo tentativo di annullare la concorrenza di tutte le cinematografie straniere. In compenso la macchina Hollywoodiana realizza i film secondo una logica puramente industriale e standardizzata vendendoli al pari di una qualsiasi merce.
Siamo alla mercificazione e alla reificazione del processo artistico e creativo quello che Benjamin chiamava la perdita dell”aura” dell’opera d’arte.
A conferma di ciò, basti pensare che nel 1996 venne fatto uscire di nascosto un documento dell’Ambasciata Americana di Parigi dove l’amministrazione americana chiariva la sua strategia, chiedendo ad ogni rappresentante americano di non menzionare mai la parola “cultura” nei negoziati, evidenziando così che l’America voleva che tutti pensassero ai film come ad una merce simile ad ogni altra merce.
Per attuare una diffusione capillare nascono sempre più spesso i multisala inseriti in centri commerciali sempre più grandi, dove vige la regola del tutto e subito; film e prodotti di ogni genere fanno bella mostra di se mentre le sale cinematografiche dei centri storici inesorabilmente chiudono i battenti.
Logicamente questi templi dell’intrattenimento appartengono perlopiù alle major hollywoodiane a parte poche eccezioni come casualmente la casa di distribuzione e produzione cinematografica berlusconiana, la già citata Medusa. In gioco c’è il controllo della cultura e dell’immaginario e, accanto ad essa, il monopolio dei mercati dell’audiovisivo.
Ormai lontana dal suo glorioso passato di celluloide, l’Italia mostra invece tutta la sua fragilità non potendo andare oltre una legge che ancora una volta finisce per subordinare il sostegno e la rinascita del cinema ai consueti criteri clientelari.
Bisogna evidenziare che gli addetti ai lavori – registi, produttori, sceneggiatori, attori, a volte hanno qualche responsabilità.
 Proprio il regista Paolo Sorrentino riconosce una certa mancanza di coraggio negli autori italiani come se non fossero in grado di raccontare le storie di questo paese. Ma anche la classe politica ha le sue colpe, perché il film è un’esperienza che chiede una partecipazione attiva da parte dello spettatore e per far questo ci vuole una vera e propria educazione all’immagine.
In Italia purtroppo, il ministero della P.I. non contempla nella scuola media superiore l’insegnamento di Storia del Cinema, per questo può succedere che un’adolescente alla domanda “Sai chi era Federico Fellini?” Risponda: «ci andavo a scuola» (intendendo la Scuola Media di Roma intitolata al maestro romagnolo).
Oltre a questo, quel nome che ha fatto grande il cinema italiano nel mondo, proprio non gli ricordava nulla…….

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