martedì 9 ottobre 2012

Tutti i santi giorni: il cinema italiano che ci piace



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Tutti i santi giorni, di Virzì è la storia, di “un amore purissimo, come ci ha detto il regista in conferenza stampa, due individui che vivono vite all’incontrario, hanno orari opposti, infatti, Guido (interpretato da Luca Marinelli,)  è portiere di notte in un grande albergo, Antonia  (interpretata da Federica Victoria Caiozzo in arte Thony )è un’ impiegata di giorno in un autonoleggio, con la passione per la musica, che ogni tanto di sera, si esibisce nei locali. La coppia entra in crisi perché non riesce ad avere figli e decide quindi di praticare l’inseminazione artificiale. Veniamo così catapultati in un microcosmo, dove s’intrecciano storie di aspiranti genitori, alle prese con un mondo fatto di attese, termini specialistici e speranze spesso infrante, il tutto mostrato da Virzì con uno sguardo sensibile, ironico e delicato. I due vengono filmati come se fossero un corpo solo, riuscendo a catturarne ansie  e  desideri. Devo dire che anche se nella parte centrale il film perde un po’il ritmo, questa sua ultima opera riesce a emozionare e divertire, creando una sorta di empatia fra i protagonisti e lo spettatore.  Grazie soprattutto alla bella interpretazione dei giovani attori “vestiti” da un’ottima sceneggiatura, scritta insieme a Francesco Bruni e all’autore del romanzo “La generazione “, Simone Lenzi, romanzo da cui è liberamente tratto il film.
Numerosi i temi che fanno da sfondo a quello centrale, in particolare quello di una precarietà ormai “ovvia”, i due protagonisti, infatti, fanno lavori completamente diversi rispetto alle loro competenze e qualità personali, essendo Guido un geniale latinista e conoscitore della vita dei Santi e Antonia una talentuosa cantante. Come a voler dire che ormai siamo oltre la tragedia dei laureati impiegati nei call-center. Tema che era al centro di Tutta la vita davanti del 2008.
Virzì in quest’opera evidenzia il suo talento di sceneggiatore dando vita a due personaggi davvero originali e si conferma scopritore di talenti. Infatti, se Luca Marinelli, era già comparso al cinema come protagonista del film di Saverio CostanzoLa solitudine dei numeri primi” e de “L’ultimo terrestredel fumettista “Gipi”Gian Alfonso Pacinotti, Federica Victoria Caiozzo, era alla sua prima esperienza davanti alla macchina da presa. Il regista livornese alla ricerca di volti nuovi, l’ha scoperta navigando sul web, scovando la sua pagina MySpace. Questa cantautrice siculo-polacca, che ha firmato anche la colonna sonora del film, si è dimostrata sul set intensa e spontanea.
Azzeccata anche la scelta di mostrare una Roma sfaccettata come un diamante, quella delle cupole, opulenta e bellissima e quella periferica violenta ed ignorante. Il realismo della pellicola è dovuto anche all’ottimo lavoro fatto dal direttore della fotografia il giovane, Vladan Radovic, che ha mostrato una Roma immersa nella  sua luce naturale, con uno stile quasi da documentario.
Concludendo 
-->Tutti i Santi giorni è un’opera semplice, come l’ha definita anche il regista, che però ci fa vedere con sguardo disincantato la realtà per quello che è, un film che farà sicuramente bene al cinema italiano.

martedì 18 settembre 2012

Cinemacorsaro profetico: Leone d'oro a Kim Ki-duk

La 69° Edizione della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia ha decretato il suo vincitore, il regista koreano Kim Ki-Duk che con Pietà ha convinto la giuria, dividendo la critica. Cinemacorsaro subito dopo la proiezione al Pala Biennale aveva parlato di "Opera completa ed esteticamente bellissima...", evidentemente non ci eravamo sbagliati. Abbiamo tifato immediatamente per Kim Ki-Duk, perchè a nostro avviso é riuscito a parlare di temi universali, quali l'amore, l'odio e la pietà, pertendo da un punto di vista particolare, in una sorte di sineddoche per immagini. Speravamo in questo premio, ma dubitavamo che una giuria che si voleva allontanare dai dettami di un filone cinematografico asiatico, tanto caro al Festival targato Muller, avvese questo coraggio. Bene quindi l'assegnazione del Leone d'Oro (siamo stati i primi a stringere la mano e a complimentarci con il regista koreano in sala stampa...), peccato per gli italiani, ma va detto che le opere di Bellocchio ("La bella addormentata"), Ciprì  (" E' stato il figlio") e la Comencini ("Un giorno speciale") non hanno evidenziato quella forza espressiva che si è invece palesata in opere come Pietà o The Master. Belle sorpese invece il cinema italiano le ha riservate nella sezione Orizzonti, fra tutte "L'intervallo" di Leonardo di Costanzo e "Gli equilibristi" di Ivano De matteo. Sempre in questa sezione ci ha colpito molto "Low Tied" di Roberto Minervini con il suo sguardo sullo sguardo dei protagonisti. In attesa di Venezia 70, di seguito tutte le recenzioni di Cinemacorsaro dal Lido!

mercoledì 12 settembre 2012

"Di me cosa ne sai": analisi di una crisi


Al termine della visione del docu-drama “Di me cosa ne sai” di Valerio Jalongo, sulla crisi del cinema italiano, si ha la sensazione di essere stati derubati di qualcosa d’importante, come di non essere stati avvertiti della perdita di una cosa che ci stava molto a cuore. Eppure non si può dire che sia stato un declino rapido, ma si è strutturato nel tempo. Come nel postulato Pasoliniano s’intuiscono i “colpevoli”, ma non si hanno le prove. Si può, però, almeno cercare di capire meglio ciò che è successo analizzando le fonti che abbiamo a disposizione.
Bisogna andare indietro con gli anni, fino al luglio 1945, quando accade un fatto molto importante che si può considerare la presa di possesso simbolica, da parte dei produttori americani, del mercato europeo: il viaggio, durato circa un mese, di un gruppo di rappresentanti di tutte le maggiori case americane (Paramount, Columbia, Universal, Twentieth Century Fox, Warner Bros), in vari paesi europei.
In Italia i rappresentanti del cinema americano vengono ricevuti con tutti gli onori, come se fossero veri e propri capi di governo e ripetono la necessità di abolire, in un clima di riconquistate libertà, le leggi protezionistiche del fascismo.
É l’incontro con Pio XII che segna però il vero punto a favore dell’industria americana. L’incontro suggella un’alleanza in cui il Papa consegna ai produttori americani e mette a disposizione il suo “modesto” patrimonio di sale e la sua più autorevole voce per orientare il giudizio dei fedeli.
Il 20 settembre il consiglio dei ministri approva il decreto luogotenenziale, che non pone limiti all’importazione e abroga quasi interamente la legge fascista: le compagnie americane si possono dire ampiamente soddisfatte.
La strada è aperta. Il favore del pubblico, la sua disponibilità a immergersi nuovamente nelle immagini del cinema americano sono ottenuti sommando una serie di fattori e forze, che cooperano tra loro strettamente: dai distributori agli esercenti, dalla Chiesa alla stampa di categoria, alle forze politiche. Per necessità il governo italiano ha dovuto fare del mercato cinematografico un terreno di libera caccia, in cui, con la copertura del liberismo economico, si costituisce, di fatto, una colonizzazione e un rapporto di dipendenza quasi totale.
Si nota anche, già all’indomani dell’approvazione del decreto luogotenenziale, come si siano creati scontri precisi sul piano politico. Da una parte la sinistra, che sostiene come il cinema italiano non possa vivere senza sussidi governativi, paradossalmente viene a trovarsi allineata con un’idea di protezione economica già concessa al cinema dal fascismo e che continua a riproporre anche in tempi più vicini a noi. Dall’altra parte, a sostegno di una libera fluttuazione del mercato, sono i rappresentanti dei democristiani, guidati da Valentino Brosio, presidente di Cinecittà che dimostra di preferire che il cinema vada in mano degli americani piuttosto che delle forze di sinistra per venire usato come strumento di propaganda.
Per il momento però nessuna forza politica, comunisti compresi, si sforza di denunciare la circolazione dei film americani come strumento di propaganda e mezzo di controllo ideologico della popolazione italiana.
La “cinefagia” aggressiva dell’industria di Hollywood può trovare buoni motivi per stringere, a seconda delle circostanze, vari patti di alleanza separati, come vedremo, farà di volta in volta.
Ricordare l’aneddoto del viaggio in Italia dei rappresentanti di tutte la maggiori case di produzione americane e poi vedere all’inizio del documentario di Jalongo i multisala con tutti i loro nomi splendenti fa pensare che un collegamento e anche poco casuale ci deve pur essere.
Nel febbraio 1946 venne dichiarata libera la produzione e distribuzione dei film stranieri e fu abolito ogni dazio.
Poco dopo, nel dicembre del 1949, fu varata la legge Andreotti sul cinema, ispirata nei meccanismi di salvaguardia del cinema nazionale, a quella del 1938 (legge Alfieri).
La tassa sul doppiaggio divenne “prestito obbligatorio in cambio di buoni”, mentre il divieto di esportazione di valuta costrinse la MGM, nel 1951, a reinvestire in Italia parte dei suoi incassi: con essi girò Quo Vadis? a Cinecittà.
La politica andreottiana risollevò nuovamente il fatturato dell'industria nostrana incrementando esponenzialmente le produzioni annue, 27 furono i film prodotti nel travagliatissimo 1945 di Roma città aperta, 170 quelli prodotti e distribuiti nel 1953.
Tale legge imponeva che un film per essere italiano deve avere almeno il 50% di personale italiano e consentiva alle coproduzioni di usufruire degli incentivi statali e ciò aprì le porte dell’Italia e di Cinecittà a inglesi, tedeschi, spagnoli e, soprattutto, americani interessati a sfruttare le locations italiane.
I successivi venti anni furono gli anni d’oro del cinema italiano che giunse a concorrere alla pari con il colosso hollywoodiano.
Nel 1972 però la legge Andreotti venne soppiantata dalla nuova normativa promossa da un socialista, tale Corona in base alla quale avrebbero potuto accedere ai finanziamenti pubblici solo le pellicole ad intera produzione italiana.
Inizia il declino, impedendo di girare in inglese, si toglie il respiro internazionale alle opere, e i capitali affluiti in Italia grazie alle coproduzioni con cui il cinema italiano aveva potuto prosperare ed essere ammirato nel mondo, vengono a mancare.
A metà degli anni Settanta, nell’arco di appena tre anni, i tre maggiori produttori italiani (De Laurentis, Ponti, Grimaldi) lasceranno il paese per approdare ai più prosperosi lidi statunitensi.
De Laurentiis ipotizza che la legge Corona -che assestò il primo pesante colpo all’industria cinematografica italiana- fu concepita per venire incontro ai desideri degli americani.
Si tratta di dichiarazioni provenienti da una fonte che ben conosce non solo gli ambienti dei produttori e dei distributori italiani ma anche il potente sistema delle major hollywoodiane.
Dal punto di vista della distribuzione e della produzione cinematografica i finanziamenti cominciano a scarseggiare, con il conseguente calo dei fatturati.
Sarà forse un caso, ma gli anni della legge Corona sul cinema e l’esodo dei maggiori produttori cinematografici italiani coincidono con la normativa che cominciò a spezzare il monopolio televisivo della RAI con la concessione alle piccole emittenti televisive di trasmettere localmente.
Fra i soggetti che si precipitarono immediatamente nell’avventuroso mondo delle emittenti commerciali, troviamo Tele Malta degli editori Rizzoli, gli stessi che assecondarono l’assalto piduista al Corriere della Sera con il concorso del banchiere Roberto Calvi e Tele Torino su cui si stagliava l’ombra dell’aristocratico piduista Edgardo Sogno, con intensi contatti americani ed inglesi.
Strane coincidenze……
In quegli anni le prime emittenti televisive locali avevano budget e palinsesti modesti ma determinate forze politiche ed economiche compresero più e meglio delle sinistre le potenzialità del mezzo dal punto di vista culturale e furono altrettanto leste a cogliere il senso della cultura “popolare” o “bassa”.
La sinistra egemonizzata dal PCI, troppo occupata nei suoi distinguo fra cultura “alta” e subcultura, si mosse con estremo ritardo, mentre le nuove destre si giovarono delle possibilità offerte dai nuovi media, oltre che della centralità dei meccanismi pubblicitari. Quanto vi sia poco di casuale in queste tendenze è dimostrato proprio da quell’ormai celebre e citatissimo Piano di Rinascita Democratica della loggia P2 controllata dall’ineffabile Venerabile Gelli al centro di mille trame e mille misteri italiani. Accanto all’obiettivo di condizionare pesantemente l’informazione della carta stampata, Gelli & c. si proponevano di “dissolvere” la RAI TV in nome della libertà di antenna.
Alla luce di tali intenti non stupisce l’interesse nei confronti della televisione privata e commerciale da parte degli iscritti alla P2 compreso il Cavalier Silvio Berlusconi.
Per converso fra gli intellettuali di “sinistra” Pasolini fu tra i pochissimi a capire la portata della cultura intesa nella sua interezza, senza trascurare gli aspetti sub culturali fino a quelli rientranti nell’ambito della deculturazione.
Inizia così l’emorragia di spettatori dalle sale cinematografiche e in pochi anni la produzione cinematografica cala da 250 a 90 film.
Fra tante avventure catodiche di breve respiro, solo quella del giovane Cavalier Silvio Berlusconi, resiste: divenuto presto padrone incontrastato delle concessioni pubblicitarie, si concentra anche sulla programmazione cinematografica in televisione facendo incetta di pacchetti di film come quelli del magazzino della Titanus di Goffredo Lombardi.

"Di me cosa ne sai" : analisi di una crisi 2° Parte

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..Fino ad allora la televisione nazionale non aveva dato molto spazio alla trasmissione di pellicole cinematografiche, ma da un giorno all’altro gli schermi vengono letteralmente invasi da film anche piuttosto recenti. Sarebbe inutile ribadire quanto ciò abbia contribuito alla diserzione degli spettatori dai cinema. Nel frattempo, in un contesto da selvaggio west mediatico, il Cavaliere diventa proprietario di ben tre reti televisive (Canale 5, Italia Uno e Retequattro) imponendo il suo monopolio sulla TV commerciale edificando un impero dell’industria mediatica, dello spettacolo e dell’intrattenimento.
Nei rampanti anni Ottanta diviene socio dei Cecchi Gori, i maggiori produttori e distributori cinematografici italiani, nella Penta Cinematografica e con l’acquisto della storica Medusa ottiene il quasi monopolio dell’industria cinematografica condividendolo con la RAI.
Il duopolio televisivo ormai sancito dalla famigerata legge del ministro repubblicano Mammì ma concertata soprattutto da Craxi ed Andreotti, si riflette sul cinema con le prevedibili conseguenze. Alla costosa realizzazione di film per il grande schermo si preferiscono le fiction televisive. Nel frattempo i format e i palinsesti della RAI TV cominciano ad assomigliare sempre più a quelli Mediaset.
Nell’arco di pochi anni la legge Corona, le fughe americane dei De Laurentiis, dei Ponti, dei Grimaldi, la progressiva occupazione dell’etere di canali patrocinati da determinati settori economici e politici farebbero pensare ad un intervento di quelle lobbies che molto investono sulla macchina spettacolare hollywoodiana, probabilmente e prevalentemente italoamericane ed ebraiche.
L’immaginario si divide fra il cinema spettacolare americano e la televisione berlusconiana becera e provinciale, che ha invaso le case degli italiani. All’inesorabile calo di spettatori nei cinema si accompagna la progressiva affermazione delle pellicole statunitensi a scapito di quelle italiane.
Basterebbe dare una scorsa alle classifiche degli incassi delle stagioni cinematografiche di venti, trenta e quarant’anni fa per prendere atto di questa tendenza che pare inarrestabile.
In passato le preferenze del pubblico italiano si sono indirizzate sui prodotti della nostra cinematografia piuttosto che sulla concorrenza hollywoodiana ma oggi solo le pellicole dei vari De Sica e Boldi sono in grado di reggere all’ondata del cinema mainstream americano. Intanto chiudono le piccole case cinematografiche del nostro paese e si moltiplicano gli studi televisivi.
La suddetta operazione de-culturale ha una portata globale nel suo tentativo di annullare la concorrenza di tutte le cinematografie straniere. In compenso la macchina Hollywoodiana realizza i film secondo una logica puramente industriale e standardizzata vendendoli al pari di una qualsiasi merce.
Siamo alla mercificazione e alla reificazione del processo artistico e creativo quello che Benjamin chiamava la perdita dell”aura” dell’opera d’arte.
A conferma di ciò, basti pensare che nel 1996 venne fatto uscire di nascosto un documento dell’Ambasciata Americana di Parigi dove l’amministrazione americana chiariva la sua strategia, chiedendo ad ogni rappresentante americano di non menzionare mai la parola “cultura” nei negoziati, evidenziando così che l’America voleva che tutti pensassero ai film come ad una merce simile ad ogni altra merce.
Per attuare una diffusione capillare nascono sempre più spesso i multisala inseriti in centri commerciali sempre più grandi, dove vige la regola del tutto e subito; film e prodotti di ogni genere fanno bella mostra di se mentre le sale cinematografiche dei centri storici inesorabilmente chiudono i battenti.
Logicamente questi templi dell’intrattenimento appartengono perlopiù alle major hollywoodiane a parte poche eccezioni come casualmente la casa di distribuzione e produzione cinematografica berlusconiana, la già citata Medusa. In gioco c’è il controllo della cultura e dell’immaginario e, accanto ad essa, il monopolio dei mercati dell’audiovisivo.
Ormai lontana dal suo glorioso passato di celluloide, l’Italia mostra invece tutta la sua fragilità non potendo andare oltre una legge che ancora una volta finisce per subordinare il sostegno e la rinascita del cinema ai consueti criteri clientelari.
Bisogna evidenziare che gli addetti ai lavori – registi, produttori, sceneggiatori, attori, a volte hanno qualche responsabilità.
 Proprio il regista Paolo Sorrentino riconosce una certa mancanza di coraggio negli autori italiani come se non fossero in grado di raccontare le storie di questo paese. Ma anche la classe politica ha le sue colpe, perché il film è un’esperienza che chiede una partecipazione attiva da parte dello spettatore e per far questo ci vuole una vera e propria educazione all’immagine.
In Italia purtroppo, il ministero della P.I. non contempla nella scuola media superiore l’insegnamento di Storia del Cinema, per questo può succedere che un’adolescente alla domanda “Sai chi era Federico Fellini?” Risponda: «ci andavo a scuola» (intendendo la Scuola Media di Roma intitolata al maestro romagnolo).
Oltre a questo, quel nome che ha fatto grande il cinema italiano nel mondo, proprio non gli ricordava nulla…….

martedì 28 agosto 2012

Cinemacorsaro alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia



Cinemacorsaro sta per sbarcare alla 69 edizione della Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica, che si svolgera dal 29 Agosto al 8 Settembre presso il Lido di Venezia. Un'edizione che vede in concorso mostri sacri del cinema mondiale come: Malik, De Palma, Kitano, Anderson, Ki-duk-kim, Assayas e i nostri Bellocchio, Comencini e Ciprì. Con Robert Redford e Spike Lee al Lido fuori concorso, quest'ultimo con un docufilm su Michael Jackson. Inoltre le Giornate degli Autori saranno aperte dall'attesissimo Pinocchio di D'Alò.
Un edizione davvero straordinaria che Cinemacorsaro  seguirà in diretta dal Lido come corrispondente per Taxidrivers.it. Tutti i film evento in anteprima mondiale, recensiti per voi dalla Sala Stampa del Palazzo del Casinò.....

giovedì 21 giugno 2012

Un cinema cieco per un paese allo sbando

Siamo in un paese dove si fa finta di non vedere e si fa presto a criticare e schierarsi fra i buoni per farsi una  nuova verginità. Vi pare normale in un paese civile insabbiare la chiusura di un partito (leggi Margherita)per paura di indagini su milioni di euro passati sui propri conti……trovato il capo espiatorio trovata la cura! E un presidente della Repubblica che si sente attaccato, ma da chi? Dalla magistratura che l’ha intercettato al telefono stoppare l’inchiesta su Mancino???Questa cecità gravissima in in una società civile si ripercuote (con danni minori) anche nel cinema italiano. Possibile che i nostri registi apparte alcune rare eccezioni, romanzano film su tematiche marginali quando l’Italia esplode sommersa da corruzione, giochi di palazzo, e un futuro terribile. Quello che ha fatto grande il nostro cinema è stato il realismo, ovvero essere dentro alla società contemporanea, non essere scollati, asettici, ma narrare quello che accadeva per trarre insegnamento per il futuro. Certo parlo del Neorealismo che pedinava l’uomo qualunque nelle miserie di un post guerra drammatico, ma anche di altri registi coraggiosi che si sono spinti a chiedersi perche? Possiamo cambiare e come? O semplicemente mostrando. Ma senza ricette precostituite, ponendosi dentro il reale, non costruendo un iper-reale plastico costruito a immagine e somiglianza del marketing, di quello che potrebbe piacere, quello che i teorici della tv=cinema ci  propinano. Io voglio che i registi riprendano la nostra tradizione italiana di film d’inchiesta, attuali, che si interrogano su i nostri casini senza guardare in faccia nessuno. Perché il cinema é si sogno ma anche esperienza, critica e soluzione di un reale che ci appartiene e che non va rifuggito ma capito, sviscerato, mostrato anche a chi piace essere distratto. Utopia? Forse, ma questa è la strada… il Grand Prix Spécial du Jury  a Matteo Garrone per Reality fa ben sperare. Sia solo l'inizio? 

lunedì 21 maggio 2012

La fuga di Martha

Visto in anteprima e recensito per Taxidrivers questo film scava nella mente umana sconvolta da abusi e violenze. Un opera prima che colpisce e far sperar bene per il futuro del regista T. Sean Durkin. Qui puoi leggere la recensione

venerdì 20 aprile 2012

Le Paradis des bêtes: i bambini ci guardano

Come annuciato CINEMACORSARO è presente al Rendez Vous, Festival dedicato al nuovo cinema francese. Un opera prima da sottoporre alla vostra attenzione è sicuramente: Le Paradis des bêtes di Estelle Larrivaz. Potrete leggere l'articolo della corrispondenza dal Festival su Taxidrivers.

mercoledì 11 aprile 2012

Rendez-Vous: appuntamento con il nuovo cinema francese



Dal 17 al 22 aprile 2012 CINEMACORSARO parteciperà a Roma alla II edizione di Rendez-Vous  festival dedicato al nuovo cinema francese come corrispondente della rivista Taxidrivers per farvi conoscere le migliori opere in concorso. Creata dall'Ambasciata di Francia in Italia la manifestazione è realizzata dall’Institut français Italia in collaborazione con UNIFRANCE, ente che promuove il cinema francese nel mondo. Le location si snoderanno oltre che alla Casa del Cinema e il Cinema Fiamma, anche nella bellissima cornice dell’Accademia di Francia a Roma - Villa Medici, che sarà la vetrina per i giovanissimi, con un ciclo avant-garde  a tema, mentre l’Institut français Centre Saint-Louis ospiterà un focus su un importante personaggio del cinema francese. La direzione artistica del festival è affidata a Vanessa Tonnini.  Inoltre molto interessante anche Masterclass, dibattiti e incontri animati da artisti francesi accompagnati da personalità italiane del cinema legate al mondo francese. Seguiteci per tutte le novità..........

lunedì 5 marzo 2012

90 anni di Pasolini e il retroscena su "Il Vangelo secondo Matteo"

Oggi Pier Paolo Pasolini avrebbe compiuto 90 anni, e viene da chiedersi cosa ci avrebbe raccontato il suo sguardo antropologico sulla società attuale, lui che intendeva il cinema come la lingua scritta della realtà. In questa occasione il V municipio di Roma Capitale e il Centro Elis presentano l'inedita intervista RAI di Rossella Alimenti a Mons Francesco Angelicchio, primo italiano ad aderire all'Opus Dei come numerario, negli anni 60 e 70 Direttore del Centro Cattolico Cinematografico. L'intervista mette in luce come Mons Angelicchio interpretò il suo compito in modo aperto nei confronti di produttori, registi, attori, diventandone amico e in alcuni casi consigliere spirituale. Si apprendono aneddoti personali, Mons Angelicchio  ricorda come Paolo VI gli avesse chiesto di indicargli i film che doveva assolutamente vedere, «visto che un Papa non ha molto tempo da perdere». Il primo che gli propose fu una pellicola di Ingmar Bergman e poi «Otto e mezzo» di Fellini, che il Papa vide con interesse, ma sostenendo che «le scene con donne discinte non gli parevano così necessarie». D'accordo con lui, Angelicchio dice che gli spiegò come «fossero state girate per far soldi e attirare il pubblico». Quanto al "Vangelo secondo Matteo", Mons Angelicchio narra la genesi: «era il 2 ottobre 1962 Pasolini é ad Assisi  ospite della locale Pro Civtate Christiana giorno della visita di Papa Giovanni XXIII. Non và all'incontro con il Papa perchè non gli piace la confusione della folla, resta in stanza e trova il vangelo, presente in tutte le camere, e legge il Vangelo Secondo Matteo in un pomeriggio, scoprendo che in quelle pagine c'era già tutta delineata la sceneggiatura per un film». Viene poi ricordato quando il produttore Alfredo Bini gli annunciò che avrebbe fatto un film sul Vangelo, e poi che a farlo sarebbe stato Pasolini. «Io ebbi un brivido e pensai: che Dio ce la mandi buona!». Fino al retroscena su come fece tornare sul set Pasolini per girare le scene dei Miracoli e della Risurrezione mancanti dalla prima produzione,  fu lui, infatti a convincerlo della necessità di quelle parti, spiegando al regista, interessato a Gesù in quanto uomo, che «i miracoli sono la prova della divinità di Cristo, perchè solo Dio può farli», e che San Paolo sosteneva che «se non fosse risorto, sarebbe vana la nostra fede». Tra gli altri ricordi di Mons Angelicchio, l'incontro con Paolo VI che gli chiese Roberto Rossellini, per spiegargli di voler girare alcuni film sulla fede. All'incontro presso l'Aula Magna del Centro Elis sono intervenuti Ivano Caradonna, Presidente del V Municipio, Michele Crudele, Direttore del Centro Elis, la regista Liliana Cavani, e Ettore Bernabei fondatore Lux Vide. Il Direttore Crudele ha ricordato la figura di Mons Angelicchio, raccontando il loro incontro a metà degli anni settanta e mettendo in luce episodi divertenti come quello di un produttore americano che vistosi negata l'autorizzazione per la distribuzione  nelle sale parrocchiali e pensando ai ricavi, era disposto a rimuovere le scene scabrose pur di avere il benestare. Mons Angelicchio racconta divertito che gli telefonò dicendo"Le taglio tutto!" Liliana Cavani mette in luce la profonda amicizia che la legava a Mons Angelicchio, nata in occasione del suo San Francesco (con Lou Castel e prima produzione cinematografica in assoluto della Rai, promossa da Angelo Guglielmi). Lui garantì per il film davanti alle autorità eclesiastiche e non, perplesse da una lettura troppo realista. La regista con l'occasione ha anche svelato un episodio inedito, perchè a suo tempo le pregarono di non parlarne: quando uscì il suo secondo «San Francesco», Paolo VI la invitò in Vaticano per una visione privata e, seduto accanto a lei, la abbracciò più volte commosso durante la proiezione. 
Ha concluso gli interventi Ettore Bernabei storico direttore generale della Rai, che parla del "San Francesco" della Cavani «come di uno Tsunami, di una umanità del tutto nuova per l'epoca» e ricorda che parte del suo impegno fu «portarvi la rappresentazione dell'ordine creato e la consapevolezza che Dio esiste e che ogni persona, in quanto creatura, deve risolvere il proprio rapporto col Creatore», aggiungendo che personaggi come Pasolini, Rossellini, Zeffirelli, ma anche Fellini, «pur tra tanti dubbi, testimoniano il senso profondo della ricerca della verità ».

lunedì 30 gennaio 2012

Il volo dei giovani




CINEMACORSARO TEATROCINEMACORSAROIn questo post non parlerò come sempre di cinema ma bensì di teatro, precisamente del saggio degli allievi del II anno del corso di recitazione della Link Academy, la prestigiosa European Academy of Dramatic Arts di Roma diretta da Alessandro Preziosi, che ha messo in scena l’allestimento delIl gabbiano di  Anton Cechov nella splendida cornice del Chiostro del Bramante. Cimentarsi con questo testo teatrale uno dei più famosi e rappresentati in assoluto, deve essere stata una bella sfida per i giovani attori. Basti pensare chei personaggi della giovane Nina, della madre attrice Irina, dello scrittore Trigorin sono stati interpretati in tutto il mondo dai maggiori attori di teatro sotto la direzione di autentici mostri sacri della regia teatrale come Orazio Costa Giovangigli, inventore del metodo mimico, Lev Dodin e Eimuntas Nekrošius. In questa originale messa in scena gli allievi che si sono alternati nei vari ruoli, hanno dato prova con il loro entusiasmo di saper ben reggere la scena, proponendo interpretazioni intense e ben calibrate, riuscendo ad emozionare gli spettatori. Da segnalare Gulia Petrigno nel ruolo di Masa interpretato nel I atto. Concludo augurando ai giovani allievi una brillante carriera magari nel nostro cinema con giovani registi italiani.